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#RiscrivereilFuturo: Raffaele Dessì, architetto, esperto di storia del costume, responsabile eventi e relazioni col pubblico di Atelier Pietro Longhi di Venezia

Come immagini Venezia nel futuro?
La Venezia del futuro sarà quantomai simile nell'essenza a ciò che l'ha resa grande. Venezia è una città di connessioni, è una città virtuale nel suo essere quasi fisicamente impossibile, ed è una città che non può produrre qualcosa ma può solo rielaborare materiali prodotti altrove. In questo risiede la grandezza di Venezia, nel suo essere da sempre l'enorme portale dell'eccellenza, ed a questo dovremmo tornare. Ciò che viene rielaborato, ma anche semplicemente venduto, in questa città deve essere sinonimo di eccellenza. Su tutto ciò che si trova in questa città dovrebbe esserci una sorta di egida, che garantisca sulla qualità per il solo fatto di essere "passata per Venezia". Accadeva per le spezie ed i tessuti, per la qualità dei vetri, dei marmorini, delle dorature. Venezia era una città artigiana che lavorando materie prime eccellenti creava eccellenze invidiate e per questo acquistate ovunque. E questa eccellenza passava per un'editoria libera di far circolare idee, necessaria forse oggi più di ieri, per renderci coscienti di cosa significhi poter scegliere ed essere in grado di farlo. Quindi la Venezia che mi immagino è di artigiani e pensatori, liberi di creare bellezza ed idee che tornino ad essere la più grande ricchezza veneziana.

Cosa possono fare la politica e i cittadini per una rinascita di Venezia?
Politica e cittadini dovrebbero coincidere, e tutti i cittadini dovrebbero occuparsi della loro polis. Credo quindi che i politici dovrebbero iniziare ad amministrare la cosa pubblica come se i cittadini fossero parte integrante del sistema. Gli artigiani che producono qualità dovrebbero avere spazi - laboratori, magazzini e spazi di vendita - a prezzo calmierato. L'artigiano andrebbe affiancato da diverse figure, soprattutto da chi si occupa della formazione dei giovani. Attorno ad una bottega dovrebbero svilupparsi due tipi di scuole. Scuole professionali, che formino i giovani artigiani senza che questo costo ricada sui professionisti. Penso ai vetrai o tessutai, ben sapendo che prima che un giovane possa realmente produrre passano anni. Questo è solitamente affrontato dall'artigiano, che se ne fa carico formando un parente cui viene lasciata l'attività. Scuole culturali per formare giovani che capiscano la qualità artigianale e la vedano come una ricchezza da promuovere. Questo può succedere studiando non solo la cultura veneziana, ma anche quella del paese in cui il prodotto andrà proposto. Una ceramica dipinta, bassanese, piuttosto che un velluto soprarizzo, piuttosto che un lampadario "Rezzonico" a seconda dello stato in cui viene venduto cambia il modo di essere presentato, essendo diversa la percezione del manufatto stesso. Lo studio delle lingue e dell'economie straniere per alcuni indirizzi scolastici dovrebbe essere finalizzato per capire come proporre al meglio la cultura materiale veneziana in modo che possa essere capita dall'acquirente straniero. E questo vale sia quando l'oggetto viene esportato e venduto all'estero, che quando viene proposto nei negozi cittadini. Per questo la città stessa potrebbe preoccuparsi di creare una sorta di grande "Fondaco della qualità" dove vengano venduti solo oggetti certificati con dipendenti che conoscano tanto gli oggetti artigianali quanto la cultura di chi è interessato all'acquisto. L'artigiano potrebbe periodicamente recarsi in bottega/fondaco per incontrare gli utenti finali, ma anche i venditori dovrebbero periodicamente andare nei laboratori per non perdere il contatto con la fase produttiva, fondamentale per capire e comunicare l'anima del manufatto. Questo progetto richiede anche aiuti per la filiera: le stesse facilitazioni per le piccole botteghe di oggetti di uso quotidiano in centro storico, dove l'artigiano possa trovare tutto ciò che è necessario a prezzi abbordabili. Cartolerie, negozi di oggettistica per la casa, ferramenta, tornerebbero ad essere necessari in una città che si è ripopolata di artigiani e delle loro famiglie, oltre che di venditori, e tutta questa fetta di popolazione si rivolgerebbe a bar e ristoranti in loco, che non vivrebbero più di solo turismo. Perché Venezia torni a nascere, credo, sarà necessario che cittadini e politica ritornino a coincidere, impegnandosi tutti, nel modo in cui ciascuno ritiene opportuno, per la formazione di una vera comunità residente che renda vera e viva la città stessa.

Proponga un'idea specifica in almeno uno di questi ambiti: ambiente, residenzialità, lavoro, cultura, sicurezza, turismo.
La cultura per capire la città. La cultura, come la politica, dovrebbe essere comune a tutti i cittadini e ciascuno dovrebbe essere messo in condizione di fruirne per capire la città in rapporto alle proprie capacità ed interessi. I musei come semplici contenitori asettici sono oggi superati: le opere viaggiano sia virtualmente che fisicamente per cui, ora come mai prima, sarebbe necessario ripensare a musei che ricreino ambienti e vita dove le opere sono nate, restituendogli l'anima e creando la differenza che giustifichi la visita rispetto alle copie e agli allestimenti virtuali. Le opere andrebbero illustrate spiegandone la capacità rivoluzionaria, ed il motivo per cui meriti passare ore ad osservarle. Le botteghe storiche depositarie di sapere artigianale devono essere considerate al livello dei musei: grandi gioiellerie piuttosto che tessiture, case di moda, produttori di merletti e perle di vetro non sono semplicemente negozi, ma vere e proprie botteghe nel senso rinascimentale del termine dove si crea e si vendono arte e cultura. Dovrebbe quasi essere naturale organizzare visite guidate all'interno di botteghe artigiane, o completare gli allestimenti realistici dei musei con pezzi unici artigianali che vengono orgogliosamente mostrati come arte contemporanea nel senso di prodotta oggi. In questo modo il museo diventerebbe un ambiente vivo dove conservazione e produzione di qualità potrebbero convivere. Per remunerare gli artigiani per il prestito delle loro opere si potrebbero pensare dei veri e propri noleggi per l'esposizione, il che darebbe un senso alla produzione di qualità dei propri manufatti pensati per la comunità, non solo per le proprie vetrine. Era ciò che accadeva con i grandi tesori e collezioni del passato, quando il Mecenate per eccellenza, lo Stato finanziava la produzione di opere per mostrare quali fossero le capacità produttive dei suoi artisti ed artigiani. Per non fare mera archiviazione e conservazione di una capacità artigianale in grado di creare arte, la cultura deve passare per il saper fare.

Raffaele Dessì, architetto, esperto di storia del costume, responsabile eventi e relazioni col pubblico di Atelier Pietro Longhi di Venezia

Per il progetto #RiscrivereilFuturo di Venezia Venezia da Vivere e Associazione Piazza San Marco hanno intervistato imprenditori, curatori, direttori di istituzioni culturali, rettori e docenti universitari, albergatori, organizzatori di eventi e cittadini, che a Venezia vivono e lavorano. Un dibattito aperto con la cittadinanza per far nascere un’idea di città in equilibrio con l’ambiente, il lavoro e la sua civitas.